Onna: donne giapponesi, passioni giapponesi. Ōtagaki Rengetsu, monaca, poetessa, artista.

Quest’anno voglio ricordare le donne giapponesi. Un profilo alla settimana. Dedicato a noi.

Questi ultimi mesi sono stati per me troppo ricchi di impegni e ho trascurato un po’ queste pagine. Ora si riprende. Con rinnovata energia!

Il ritratto di Rengetsu in una xilografia di Morimoto Kiyoko (XX sec.).

 

Furusato no

kakine no warabi

oriori ni

yuki te mukashi no

haru ya shinoba n.

Visito 

il mio vecchio villaggio

e osservando le felci presso il cancello

ricordo le primavere di un tempo.

Forse quello di Rengetsu è un nome ancora poco conosciuto ai più, eppure la figura di questa donna dal multiforme talento meriterebbe maggior fortuna. La lacuna sta per essere colmata, almeno a Milano, da una rassegna-evento, organizzata dall’associazione shodo.it (qui tutte le informazioni: https://www.rossellamarangoni.it/calligrafia-e-poesia-omaggio-alla-poetessa-otagaki-rengetsu-una-settimana-a-milano.html e http://www.shodo.it/) che vuole essere un omaggio a questa straordinaria personalità di donna fuori dagli schemi. Rengetsu (1791-1875) fu infatti monaca buddhista e insieme poetessa, pittrice, calligrafa, ceramista. 

Figlia di un capo-vassallo del feudo di Iga-Ueno e, forse, di una geisha, Todō Nobu fu presto adottata da Ōtagaki Teruhisa, sacerdote della scuola Jōdō Shinshū presso il grande tempio della scuola a Kyōto, il Chion-in. Cresciuta ed a educata presso il castello di Kameoka (nella prefettura di Kyōto) nella poesia, nelle arti e nel combattimento, vi restò come dama di compagnia, si sposò, decise di chiedere il divorzio e si risposò. Dopo una serie dolorosa di lutti in famiglia e essendo rimasta vedova a 33 anni, prese i voti buddhisti, andando a vivere  nel grande tempio Chion-in, e adottò il nome poetico di Rengetsu (Luna di loto). Costretta a lasciare il tempio alla morte del sacerdote che l’aveva adottata, Rengetsu si trovò a dover cercare mezzi di sostentamento.  

Yado kasa nu

hito no tsurasa wo

nasake ni te

oborozukiyo no

hana no shitabushi.

Nessun posto alla locanda,/ dura la vita degli uomini… / ma dormendo sotto i fiori in boccio /mi consola la luna.

 

Waka e calligrafia di Rengetsu, dipinto di Tomioka Tessei, kakemono del 1867.

Iniziò così un intenso periodo di pellegrinaggi  e soggiorni in svariati templi dove si dedicò, oltre che alla preghiera, a un’instancabile attività artistica e poetica, componendo poesie in 31 sillabe (di lei ci restano circa 900 waka) e calligrafandole o incidendole su tazze o manufatti in argilla che modellava lei stessa, creando uno stile del tutto personale.  I suoi lavori, così diversi dalla produzione ceramica dell’epoca, la ruvida semplicità, l’umiltà che li caratterizzava vennero sempre più apprezzati dalla gente comune e la sua fama si diffuse a tal punto che Rengetsu, che viveva una vita di estrema povertà, fu in grado di aiutare ceramisti e pittori, lavorando con loro secondo lo spirito di gassaku: opere a più mani che erano create in occasioni celebrative e che a volte assumevano un significato speciale, come quando insieme a Gesshin modellò 1000 immagini di Kannon, il bodhisattva della compassione, per alleviare le sofferenze delle vittime di un’alluvione.

Yononaka no

chiri mo nigori mo

nagare te wa

kiyoki ni kaeru

Kamo no kawanami.

Polvere e sporco / di questo mondo fluttuante /scivolano via, /lavati dalle acque /del fiume Kamo.

Come tutte le sue opere ceramiche, anche questa chawan modellata da Rengetsu reca inciso un suo waka.

Rengetsu visse sempre del poco e in grande umiltà. Così si ritirò in un piccolo padiglione del té presso il Jinkoin, a Kyōto, dove trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita, lavorando fino all’ultimo.

Il suo è un umile elogio dell’imperfezione del mondo  espresso attraverso la poesia e inciso nella materia. Segni straordinari di una donna capace di andare oltre le convenzioni per esprimere la propria personale visione dell’esperienza umana.

In questo villaggio di montagna,

solo il mormorio dei pini

è familiare al mio udito;

ma i giorni in cui il vento non soffia

quale desolazione!

(trad. di Marcello Muccioli)

 

Negawaku wa

nochi no hachisu no

hana no ue n

kumora nu tsuki wo

miru yoshi moga na.

Spero di andarmene/ mentre ammiro la luna piena / senza nubi /splendere sopra i fiori di loto in boccio.