Onna: donne giapponesi, passioni giapponesi. 2. Ono no Komachi.

In questo nuovo anno voglio ricordare le donne giapponesi. Un profilo alla settimana. Dedicato a noi.

Chōbunsai Eishi (1756-1829), Ono no Komachi, stampa nishikie, 1789 circa.

 

Poetessa di grande talento e donna di straordinaria bellezza, Ono no Komachi fu una donna ben reale ma l’estrema scarsità di notizie circa la sua vita e il suo destino ha creato attorno alla sua figura un alone di leggenda che si è andato alimentando nel corso dei secoli. Di sicuro sappiamo che visse nel IX secolo, che fu dama presso la corte imperiale di Heiankyō fra l’850 e l’869  e che è annoverata, unica donna, fra i sei geni poetici del Giappone (rokkasen). Del suo talento, che esprime grande passionalità, ci restano i suoi componimenti poetici inseriti in alcune delle antologie ufficiali: 118 waka, per l’esattezza.

Del suo carattere sappiamo quello che hanno tramandato le leggende e che è stato ripreso dalla letteratura successiva e dal teatro . Era una donna orgogliosa e capricciosa, passionale e innamorata ma consapevole, anche, che la bellezza sarebbe presto sfiorita. Un sentimento che emerge in quello che forse è il suo componimento poetico più celebre, inserito nell’antologia imperiale Kokinwakashū e nella celeberrima raccolta delle Hyakunin isshu e calligrafato nella stampa di Chōbunsai Eishi qui sopra, forse scritto quando ormai anziana, aveva perso ogni bellezza e possibilità di affascinare gli uomini e vedeva la vanità di ogni apparenza

Hana no iro wa

utsurinikeri na

itazurani

wa ga mi yo ni furu

nagame seshi ma ni.

 

Il colore dei fiori,

ahimé, è svanito!

mentre senza scopo

io, pensosa, ho passato la vita,

lo sguardo fisso alla pioggia notturna.

 

Penso che l’analisi del testo originale possa permetterci di cogliere appieno la stratificazione di significati resa attraverso un’abile scelta di vocaboli: “furu” è il cadere della pioggia ma anche il trascorrere del tempo, della vita;  “nagame”  è sia lunga pioggia che contemplazione, mentre “colore dei fiori” sarebbe metafora per “bellezza”.  Secondo Marcello Muccioli, questo waka andrebbe allora interpretato così:  “Ho passato vanamente la vita (yo) in contemplazione (nagame) di me stessa: ma a che scopo? Vana è stata la mia bellezza, caduca come il colore dei fiori che avvizzisce al cadere (furu) di una lunga pioggia (nagame).”*

Con questo waka forse Komachi allude all’alterigia con cui, dice la tradizione, trattava i suoi ammiratori. Si dice che li lasciasse aspettare fuori dal suo padiglione per notti e notti, sotto la pioggia o nel vento, per poi a volte rifiutare di vederli. Una leggenda vuole che finisse i suoi giorni in modo miserabile, impazzita dopo che uno spasimante, tale Fukakusa no Shosho, a cui aveva promesso il suo amore, era morto durante una tempesta di neve recandosi vanamente a trovarla per la centesima volta. Due drammi no sono incentrati su variazioni sul tema della vanità di Komachi: Kayoi Komachi e Sotoba Komachi (Komachi allo stupa) entrambi del genio Kan’ami Kiyotsugu (1334-1384).

Una scatola in lacca con il ritratto della poetessa Ono no Komachi.

Alcuni luoghi sono collegati al mito di Komachi. Ad esempio il Taiko-an, un sottotempio del Tōfukuji, a Kyōto, conserva una statua di Jizō Bosatsu in cui si dice fossero state nascoste molte lettere d’amore della poetessa. Nello stesso tempio è custodita una statua che rappresenta una figura di donna vecchia e emaciata, Hyakusai no zō (lett. “la statua della centenaria”): sarebbe la poetessa, ormai centenaria, raffigurata come credeva che sarebbe diventata: lo spettro di una donna ammirata e contesa e poi dimenticata. 

Ma se il culto di Komachi da subito aveva collocato il suo nome fra i 6 migliori poeti dell’antichità e i suoi waka erano entrati nella collezione dei  36 poeti  immortali (sanjūrokkasen) compilata da Fujiwara no Kintō (966-1041),  e nel celeberrimo florilegio delle 100 poesie per 100 poeti (Hyakunin isshu) raccolto da Fujiwara no Teika (1162-1241), a distanza di un millennio le sue opere sono ancora lì, a testimoniare, oltre il mito, il genio di una donna.

Kagiri naki

omoi no mama ni

yoru mo komu

yumeji o sae ni

hito wa togameji.

 

Cedendo all’anelito

senza fine, verrò

a trovarti nella notte;

la gente sospettosa non sorveglierà

anche il sentiero del sogno.

(Kokinwakashū, libro XIII, 657) **

 

Iro miede

utsurou mono wa

yo no naka no

hito no kokoro no

hana ni zo arikeru.

Ciò che appassisce

senza mostrarsi nei colori,

è, ecco, il fiore

del cuore umano 

di questo mondo.

(Kokinwakashū, libro XV, 797) **

 

*Marcello Muccioli, La letteratura giapponese, Firenze, Sansoni,  1969, p. 82.

 ** Trad. di Sagiyama Ikuko in Kokin waka shū. Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne,  Milano, Ariele 2000.

 

Preparando un corso sulla poesia giapponese che inizierà il 16 febbraio alla Libreria Utopia di Milano…