Una poesia di epoca Taishō.

Yushima jinja. A Tōkyō. Il cielo d'estate. Agosto 2013.

 

Adokenai hanashi

 

Chieko wa Tōkyō ni sora ga nai to yū,

honto no sora ga mitai to yū.

Watashi wa odoroite sora o miru.

Sakurawakaba no aida ni aru no wa,

kitte mo kirenai

mukashinajimi no kireina sora da.

Don’yori kemuru chihei no bokashi wa

usumomoiro no asa no shimeri da.

Chieko wa tōku o minagara yū,

Atatarayama no yama no ue ni

mainichi deteiru aoi sora ga

Chieko no honto no sora da to yū.

Adokenai sora no hanashi de aru.

 

Una conversazione infantile.

 

Chieko dice che a Tōkyō non c’è cielo.

Dice di voler vedere un vero cielo.

Colto di sorpresa, io guardo su.

Attraverso il fogliame fresco dei ciliegi

intravedo quel bel cielo che da piccolo

ho visto tante, veramente tante volte.

Le nuvole opache sospese sull’orizzonte

sono umidità appena rosata del mattino.

Guardando lontano Chieko dice:

“Il vero cielo di Chieko è quello blu

che si vede tutti i giorni

sul monte Atatarayama”.

Abbiamo parlato del cielo come due bambini.

 

Takamura Kōtarō

(1883-1956)

 

Trad. di Takeshita Toshiaki.

 

Takamura Kōtarō fu poeta e scultore. Aderì al gruppo neo-idealista Shirakabaha (Scuola della betulla bianca) che si esprimeva attraverso la rivista letteraria omonima, pubblicata negli anni Venti del XX secolo. Questa poesia, in metro libero e in lingua colloquiale, la scrisse per la moglie Chieko, ammalata di tubercolosi e affetta da una malattia mentale. Fragile e amata. Un piccolo dialogo colmo di sensibilità e di dolcezza.