Hatsu. Quando inizia l’anno, tutto inizia.

Takeuchi Keishu (1861-1942), Hagoita (1894 circa), shin hanga. Lo hagoita è simbolo del Nuovo Anno.
Takeuchi Keishu (1861-1942), Hagoita (1894 circa), shin hanga. Lo hagoita è simbolo del Nuovo Anno.

Quando inizia l’anno ci sembra di voltar pagina: ci ammantiamo di buoni propositi, elaboriamo nuovi progetti, sembriamo cercare implacabilmente le novità. Lo viviamo come un rito di passaggio  sui generis: non il passaggio da un’età all’altra della nostra vita, ma il passaggio da un tempo vecchio e superato a un tempo ricco di promesse e, per noi, di attese. O forse di illusioni.

In Giappone questo momento di apertura è segnalato dalla consapevolezza delle azioni che si compiono per la prima volta.

Il termine hatsu 初 (lett. “inizio” o, anche “prima volta”),che si premette davanti all’oggetto dell’azione, ne segnala questa connotazione di primizia. È un risvegliarsi al nuovo che fa compiere agli uomini questi gesti non meccanicamente, ma con consapevolezza. Come per riscoprire la preziosità del quotidiano.

Meglio, molto meglio di me, lo studioso Augustin Berque lo ha spiegato nel suo libro Le sauvage et l’artefice (Paris, Gallimard, 1986). Ecco cosa scrive:

 

Hatsu hinode: questo “primo levarsi del sole” dell’anno, basta un poco di fortuna per vederlo, poiché a Tōkyō, in questo periodo, in genere fa bel tempo; ma altrove che non sia nell’Omote Nihon (il Giappone “del diritto”, ossia le regioni sulla costa del Pacifico)*, è ben più raro. Per il buon auspicio, il costume vuole comunque che vi si assista ovunque. Forse occorre del coraggio per uscire prima dell’alba, dopo la veglia nella quale si avrà avuto cura, fra mezzanotte meno uno e mezzanotte, di aspirare un lungo “tagliolino che passa l’anno” (toshikoshi soba), per assicurarsi la congiunzione fra i due anni. Se si preferisce restare a casa, ben al caldo sotto le coperte, basta evitare di mettere le imposte di legno amado per lasciar entrare il sole:

Uchi harete

shōji mo shiroshi

hatsu hikage.

Improvvisamente la luce.

Anche gli shōji sono bianchi:

primo sole.

(Kikan)

 

Del resto, anche se si è mancato il primo sole, si può apprezzare, grazie alla tradizione, un gran numero di “première” o di “prime volte” dell’anno: nella raccolta delle parole di stagione (kigo) di Yamamoto Kenkichi**, non ho registrato meno di 110 “prima volta di qualcosa” relative al nuovo anno. Parecchie sembrano molto prosaiche – cose che non sono più o non erano un tempo. Tutte testimoniano, in ogni caso, di una attenzione delicata verso la presenza delle cose e dei fatti più semplici della vita: come quella “prima gugliata” (hatsu hari) che, di colpo, diventa il contrario di un atto meccanico… Certe sono gaie, come, naturalmente, “la prima risata” (hatsu warai), altre no, come “il primo pianto” (hatsu naki); certe solenni, come “la prima visita (al tempio)” (hatsu mairi); certe sono proprio di questo mondo, come “la prima vendita” (hatsu uri); ma tutte hanno un’aria di festa. Attraverso queste “prime”, i Giapponesi riscoprono con occhio nuovo il senso dei fatti e dei gesti della vita. Dal sogno al gioco, al lavoro, fanno in qualche giorno il giro del loro ambiente, rintracciano i contorni del loro paesaggio per rassicurarsi.

Non è proprio in questo labirinto che li impegnano di nuovo, ogni anno, il  “primo sogno” (hatsu yume) – forse annunciatore di fortuna -, il “primo paesaggio” (hatsu geshiki), in cui la natura li saluta e questo “primo specchio” (hatsu kagami), dove, stranamente forse:

Ushiro ni mo

utsureru hito ya

hatsu kagami.

Anche dietro

-ah- qualcuno si riflette.

Primo specchio.

(Kyoshi)

 

Da: Augustine Berque, Le sauvage et l’artifice. Les Japonais devant la nature, Paris, Gallimard, 1986, pp. 48-49. (La traduzione è mia).

*L’Omote Nihon, o Giappone “della facciata”/Giappone “del diritto”, ossia le regioni che danno sulla costa del Pacifico, è chiamato così in contrapposizione all’Ura Nihon o Giappone “del retro”/Giappone “del rovescio” che definisce le regioni giapponesi sulla costa del Mar del Giappone, sottoposte a un diverso regime dei venti e ad altrettanto diverse condizioni climatiche.

** Le cosiddette “parole di stagione” (kigo) sono raggruppate in raccolte di temi stagionali (saijiki), utilizzati soprattutto (ma non solo) dagli autori di haiku. Berque qui fa riferimento al Saishin haiku saijiki di Yamamoto Kenkichi e altri, pubblicato a Tōkyō dalla Bungei Shunjū nel 1977. Questa raccolta presenta più di 5000 kigo che sono commentati ed esemplificati da circa quindicimila haiku di autori celebri raccolti in 5 volumi, uno per stagione più uno dedicato solo al Capodanno.

*** Lo hagoita è una racchetta di legno decorata con motivi di buon auspicio e utilizzata anticamente per lo hanetsuki, una sorta di gioco del volano che pare risalire al XV secolo e che costituiva un passatempo prediletto fra le giovani donne dell’aristocrazia di corte. Successivamente, il gioco venne abbandonato ma rimase un passatempo comune per le bambine nei giorni attorno al Capodanno. Si sviluppò allora il costume di acquistare nuovi hagoita decorati con motivi benauguranti per il nuovo anno in apposite fiere (hagoita ichi), che si tenevano (e ancora si tengono) nel mese di dicembre. Un’immagine di hagoita evoca quindi immediatamente il motivo del Capodanno.

Eishōsai Chōki, Hatsu hinode (1790), ukiyoe.
Eishōsai Chōki, Hatsu hinode (1790), ukiyoe.

 

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