Mukashi mukashi. Letture per farci compagnia. Asakusa degli anni ruggenti.

La torre Ryounkaku di Asakusa in una foto d’epoca. 1910 circa.

 

Riprendiamo il racconto dall’inizio. Le due attrici d’opera con l’ombrello che attraversavano la Kagurazaka sotto la pioggia autunnale… sono passati appena quindici giorni dal grande terremoto.

In quel momento ho ricordato Asakusa in inverno, sotto una pioggia sottile, quattro-cinque anni prima.

Erano i tempi d’oro dell’opera al Nihonkan, Sawada Ryūkichi eseguiva sulle scene la “Sonata al chiaro di luna”. Una compagnia teatrale russa spinta qui dalla rivoluzione si esibiva a teatro.

Una era la signora Gan Stalsky. Ci ballava anche Anna Pavlova, che ora dovrebbe essere al Kagetsuen di Tsurumi. C’erano poi i tre fratelli Lubovsky: Anna, Daniel, Israel. La sorella maggiore, Anna, aveva dodici-tredici anni, Israel ne aveva circa nove. Anna era di una nobile bellezza.

Io, studente del primo anno del liceo, aspettavo con l’amico A. L’uscita di Anna dal camerino. Insieme ai tre Lubovsky c’era un vecchio russo cencioso. Anche il mantello di Anna, che pure le stava bene, era strappato. Provai un senso di stupore doloroso per tanta povertà.

I quattro, padre e figli, sostarono un attimo davanti a una pista di roller-skate che stava a nord del Mikuniza. Il collo della ragazza mi arrivava all’altezza delle spalle, e io ne sbirciavo la pelle.

Anna pestò con le scarpe infangate i piedi di uno studente delle medie, diventò tutta rossa e sorrise dolcemente. Anche lo studente arrossì. Poi, giunti sul bordo del laghetto, babbo Lubovsky comprò una minuscola porzione di caldarroste.

Entrarono in una pensione economica dall’aspetto miserabile davanti al Mikuniza. Noi rimanemmo lì, gli occhi alzati verso il piano superiore dell’edificio, e A. disse:

“Domani alloggerò nella stanza accanto, mi comprerò Anna. 50 yen dovrebbero bastare”.

L’attimo dopo cominciò a piovere. Quindi, ci voltammo per ripararci sotto le grondaie del Mikuniza e lì avemmo una sorpresa. Una persona appoggiata al muro guardava intenta in su, verso il piano in cui alloggiava Anna. Era lo studente cui poco prima era stato pestato il piede.

La desiderai a lungo.

Da un po’ di tempo sto coltivando l’idea di scrivere uno strano romanzo ambiguo ambientato nel parco di Asakusa, in cui appaiono solo donne di estrazione umile, come le operaie della manifattura di tabacco di Kuramae, le impiegate dei cinema, le ragazze del circo, le equilibriste del pallone… ho pensato di inserirci anche Anna e Lin Jin Hua, la ragazza cinese dai movimenti acrobatici.

Un’altra che aggiungerei, una straniera infelice, è la direttrice del Water Circus, arrivato quest’anno dall’America. Sulle rovine arse dell’Azumaza, si è esibita nel tuffo dalla cima di una scala di cento piedi in un piccolo laghetto.

All’altezza di cinquanta piedi appariva come una grossa donna in volo nel tentativo di imitare un gabbiano, ed è stata così convincente da sembrarlo davvero, magnifica.

Dicono che lei, per dirla alla giapponese, abbia fatto mizusakazuki* con gli altri membri del circo prima di salire sulla scala. Da giù si capiva che lì soffiava forte un gelido inverno.

D’un tratto, si piega, si lancia all’indietro, prima a capofitto, poi fa ruotare lentamente il corpo a mezz’aria e si tuffa nel laghetto entrando in acqua con i piedi.

Nel corso della sua impresa la direttrice è stata molto scontrosa. Così come non ha sorriso neanche una volta agli spettatori mentre saliva la scala, dopo essersi tuffata in acqua è arrivata a riva con due-tre bracciate a stile libero, ed è tornata ai camerini senza neanche voltarsi indietro. Ha sempre mantenuto l’aria depressa di chi non ha nessun interesse in quello che fa. Siamo rimasti colpiti da quella donna. Abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto vederla tuffarsi dalla cima della torre a dodici piani lì vicino.

“Sto coltivando l’idea di scrivere uno strano romanzo…” cari lettori, una decina d’anni dopo queste parole, è cominciata la stesura di questo racconto.

 

Kawabata Yasunari

(1899-1972)

 

Traduzione di Costantino Pes.

Da: La banda di Asakusa (Asakusa kurenai dan, 1930), Torino, Einaudi, 2007, pp. 123-124.

* Cerimonia per dirsi addio bevendo insieme acqua da una tazzina per sake.

 

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Forse nessun libro come La banda di Asakusa è capace di precipitarci così prepotentemente nel gorgo della Asakusa degli anni Venti, con i suoi teatri di varietà, la torre a dodici piani ricca di negozi e ristoranti (che verrà abbattuta dal grande terremoto del 1923 e mai più ricostruita), il luna park, gli spogliarelli, la prostituzione, i mendicanti, gli sfaccendati, i malfattori… tutto un mondo che Kawabata ritrae magistralmente e racconta con partecipazione nelle pagine del suo “strano romanzo”. Forse un’opera insolita per chi ha letto opere più tarde dello scrittore, ma imprescindibile. Per conoscere Kawabata e, naturalmente, per conoscere Tōkyō.

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