La cosa chiamata poesia…

Fiori caduti al Ryoanji. Kyoto, aprile 2009.
Fiori caduti al Ryoanji. Kyoto, aprile 2009.

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Delusione, sì, ma la strada passa per la delusione.
Umiliazione, sì, ma la strada passa per l’umiliazione.
Estinzione, sì, ma la strada passa per l’estinzione.
Ci fu sangue che intrise la terra, e soltanto quelli che desiderarono, che bramarono, più di quanto fosse possibile, hanno veduto la stella del mattino levarsi in tutta la sua bellezza.
Ma l’hanno veduta così come se non vedessero per la prima volta, quel nuovo cielo e quella nuova terra di cui si parla nella Scrittura.
Perché non esiste una parola umana che non abbia in qualche luogo la sua immagine.
E non c’è amore che non si congiunga in qualche luogo con le sue candidissime mani.
E non c’è sofferenza che non approdi in qualche luogo a lacrime liberatrici.
Che dunque ci sia una disperazione, o una fede, che plasmi i nostri giorni, gli occhi da troppo tempo abituati alle tenebre si apriranno di nuovo, benché ciò possa essere un aprirsi sulle tenebre, e se conosceranno che la tenebra è nera, se proclameranno la loro testimonianza del buio, se parleranno con gli occhi, con la bocca e con le mani e con tutto ciò che ha il sapore di questa tenebra, la tenebra sarà negata.
Se non c’è infatti che tenebra, in che modo non sarebbe in essa nascosta la luce? Di questa si tratta.

Jiri Orten (1919-1941)

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Da: Jiri Orten, La cosa chiamata poesia, traduzione di Giovanni Giudici e Vladimir Mikes, Torino, Einaudi, 1969.