Sguardi, visioni. Letture per farci compagnia. Il dedalo di Nakano.

Visione urbana. Dalle parti di Ueno, Tōkyō, aprile 2013.

I miei amici giapponesi sono sempre molto sorpresi quando vengono a farmi visita. Abito in una casa in stile americano (Los Angeles, anni ’60) a Nakano, fra la linea della metropolitana Marunouchi, che conduce a Ginza, e la Chuo line del treno, che va fino a Shinjuku. All’angolo si trova uno di quegli innumerevoli kombini, sorta di piccoli supermercati standardizzati che vendono l’indispensabile per  sopravvivere a Tokyo. La mattina ci vado spesso a comprarmi un caffè caldo e un’imitazione di pasticceria. Non è molto buono, ma questi primi gesti della giornata, ripetuti quotidianamente, sono un piacevole rituale. Un po’ più lontano si trova la posta centrale di Nakano, aperta 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, con un personale sempre amichevole che si applica a incollarvi i francobolli proprio come si deve. All’angolo della strada, una palestra di body building decorata con una vecchia pittura sbiadita esibisce un uomo di tipo caucasico, biondo e muscoloso. La sera, quando le finestre della sala al primo piano sono aperte, si sentono degli sconosciuti emettere dei rantoli sollevando pesi in ghisa. Proprio sotto si trova un piccolo mercato a forma di labirinto e, a lato, una misteriosa sala cinematografica: Hikariza. È un luogo cadente ma che, malgrado tutto, nasconde qualcosa di magico. Ne emana un’atmosfera da Giappone anni Cinquanta, non molto diversa da quella che doveva esserci a Parigi più o meno alla stessa epoca. Un po’ più lontano, sulla Family Road (buffo nome per una via infestata da pachinko e bar “con ragazze”), si trova il Nice Yaoya, un negozio di frutta e verdura che propone musica heavy-metal per tutta la giornata. È un vero piacere stare ad osservare le anziane signore acquistare i loro porri al suono di chitarre indiavolate!

Dopo la stazione, prendendo l’uscita nord, si penetra nell’antro del consumismo, una galleria commerciale straordinaria: Nakano Broadway. I coraggiosi vi si inoltrano in profondità e risalgono le pendenze sinuose che portano a una magnifica caverna le cui vetrine, occupate da migliaia di mostri e di robot, alleviano le pulsioni dei fanatici più gravi: Mandarake. Alla fine, c’è un tesoro da scoprire: Taco-Che, una libreria che mantiene coraggiosamente qualche segreto. Infine, prima di ritrovare la luce, si va al Classique a prendere un caffè a 400 yen. Si entra, allora, in un battello fantasma il cui legno contorto e annerito dal tempo suggerisce i drammi del passato. Un vecchio fonografo intona con voce nasale i Carmina Burana di Carl Orff. I cuori si stringono nella penombra. Si esce, gli occhi strizzati sotto la luce del sole, come se si uscisse da uno strano sogno. Sono più di cinquant’anni  che il Classique risputa fuori i suoi clienti in questo stato.

E allora, la vita può ricominciare.

Franck Stofer

Da:  “Dans les dédales de Nakano” in  100 regards inédits sur le Japon,

Paris, Association Jipango, 2004, p. 129.

La traduzione è mia.

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A volte si ha bisogno di uno sguardo fresco, una visione che è anche una testimonianza di prima mano su una realtà, che non sia quella mediata dal pregiudizio o che non sia mediata da studi specifici. Questa pagina di Stofer, residente dal 2003 a Tōkyō, dove si occupa di musica elettronica e dove ha fondato un’etichetta discografica, può essere considerata un esempio di cosa intendo.

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