Tōkyōe.東京絵. Immagini di Tōkyō. Nagai Kafū.

 

Lungo il Sumidagawa. Aprile 2013.

 

Ci eravamo incontrati per caso la sera prima a teatro e avevamo trascorso insieme la notte nella casa di appuntamenti di Daichi. Quella mattina avevamo in­tenzione di rientrare presto, ma la pioggia ci aveva bloccato. Dovemmo aspettare il primo pomeriggio perché il cielo si schiarisse. Dopo essere rimasti reclusi tutto il giorno in una piccola stanza, appena uscimmo in strada tirammo un respiro di sollievo. Attraverso le fila di case, sui nostri visi ebbri giungeva dal fiume la brezza della sera di una frescura indicibile. Sul ponte Yanagi ci venne naturale di sostare un attimo, appog­giati al parapetto.

La giornata ci parve all’improvviso più lunga del solito, forse perché aveva appena smesso di piovere. Cumuli di nuvole passavano e ripassavano di continuo nel cielo: sembrava di vedere le nuvole di un dipinto della scuola Kano vorticare sul tetto di un tempio. Tra uno spiraglio e l’altro, sprazzi di un azzurro abbaglian­te e intenso, belli come i raggi del sole al tramonto che svanivano pian piano. La superficie dell’acqua del ca­nale Kanda, di un color verde bottiglia nell’ora dell’alta marea, brillava come una lastra di vetro appena pulita, illuminata dagli ultimi raggi obliqui del sole che decli­nava dietro il lontano bosco del tempio. La distesa del fiume che si apriva davanti a noi, a partire dalla foce ove convergevano le chiatte e le piccole barche, riflette­va i colori della sera sullo sfondo lontano e ci abbaglia­va. I rami folti dei salici ricadevano sulla cinta di pietre squadrate e, ondeggiando senza sosta al vento, comu­nicavano un senso di melanconia e di quiete. Anche il suono degli esercizi allo shamisen, nelle case da geisha lungo la riva, era ora cessato. Tutt’intorno, le nuvole, in contrasto con l’avanzare del buio della sera, si facevano di momento in momento più chiare; nel loro biancore risaltavano anche i visi dei passanti e le righe dei loro kimono. La pioggia aveva lavato via lo sporco e la città dava una sensazione piacevole di lindore e di calma. Le donne di ritorno dal bagno pubblico, con in mano gli oggetti da toilette, incrociandosi per via scambiavano qualche battuta. Le nuche spiccavano bianche fino al­l’incredibile. Si vedevano già i pipistrelli svolazzare e, subito dietro, i bambini che li inseguivano. Si udiva, vicino e incessante, lo sferragliare del treno e da lonta­no invece giungeva la lunga eco delle sirene delle navi a vapore. Dal terzo piano del Kamesei, il cui grande tetto aggettava sull’acqua, arrivava il suono degli shamisen che intonavano all’unisono le note. Al di fuori dalla cinta di legno del Ryūkotei, ancora intrisa di pioggia, erano fermi in attesa due risciò laccati di fresco, i gradini rivestiti di pelliccia rossa. Una geisha con un kimono a disegni e la sua apprendista con uno yūzen dai colori accecanti, oltrepassarono a passi veloci il cancello ricoperto dai rami di un salice. I passanti si voltavano incuriositi.

Nagai Kafū

(1879-1959)

 

Da “Al giardino delle peonie” (Botan no kyaku) in Al giardino delle peonie e altri racconti, trad. di Luisa Bienati, Marsilio, Venezia, 1989, pp. 99-101.

Dal fiume, guardando verso la riva. Un anno che no, non ricordo (1999?), a Tōkyō.