Una primavera, un viaggio. Momenti a Tōkyō.

All'improvviso, una danza alla stazione di Ueno. Domenica 7 aprile 2013.

 

Sì, ricordo a Tōkyō.

Ricordo la passeggiata attraverso lo Yushima jinja, le centinaia di ema appesi per chiedere e Tenjin sama la grazia della riuscita negli studi, di buoni voti agli esami, e i trespoli sembrano cadere sotto il peso di innumerevoli tavolette di legno su cui ognuno ha scritto un’intenzione, una richiesta.

Ricordo la gita in battello sul Sumida, tutti insieme, sotto un sole finalmente caldo, a farsi stupire dalla metropoli. La baia, i grattacieli, le autostrade che si rincorrono sul fiume e sfidano i ponti, i canali quasi nascosti (piccole chiuse verdi, piccole barche) e le grida dei gabbiani danzanti fuoribordo, donne e uomini in tuta da jogging lungo le rive, le tende blu dove dorme chi ha perso tutto, i cartelloni pubblicitari e le sfide ardite dell’architettura: il cielo sopra Tōkyō è diverso ora che c’è lo Sky Tree…

Ricordo la passeggiata attraverso i giardini splendidi di Hamarikyū, gli occhi rivolti ai ciliegi sopravvissuti alla grande pioggia, la malinconia di coloro che stavano per ritornare verso il Kansai per rientrare in Italia e il regalo di un matcha delizioso nel padiglione al centro del parco, con gli occhi verso lo stagno e sul palato, la delizia di un piccolo dolce dalla delicata forma floreale.

Ricordo una domenica mattina dopo colazione, nell’atrio della stazione di Ueno, un piccolo gruppo di musicisti e danzatori invitano a visitare Sendai e la festa dello Aoba matsuri che si terrà a maggio. Danzano e subito alla mente mi compaiono immagini lontane di Sendai quando l’avevamo visitata nel 2001, la meraviglia della mediateca di Toyo Ito, il monumento a Date Masamune, gli ampi ed eleganti viali alberati e la musica trascina, ritmata dai tamburi e dai flauti. Poi veniamo coinvolti anche noi e ci ritroviamo ansanti e vergognosi: impossibile reggere il ritmo e il confronto. Ma si scambia qualche parola con una danzatrice, si ride, si parla di Sendai, del desiderio di tornare nel Tōhoku che ha bisogno di turismo e di rinascere e un “gambare” esce spontaneo. Dopo i saluti  sostiamo in un angolo per riprenderci e una signora si avvicina. Ci ha visto danzare e ci offre inaspettatamente un pacchetto di dolci: sono okashi per noi, perché abbiamo danzato. Un gesto inatteso che mi riempie di emozione. Il regalo di una sconosciuta. (scopriremo che contiene dolci tipici di Kagoshima – buonissimi – e un pacchetto di tè verde). Tutto può accadere, a Tōkyō. Tutto può ancora sorprenderci. Tōkyō è una megalopoli umana, nonostante la fretta.

Nonostante la fretta, alcune viuzze conservano l’atmosfera della vecchia Edo. Gente che chiacchiera davanti alle case, che si chiede come va. Piccoli vasi lungo le vie con piante e fiori che nessuno toccherebbe mai, minuscoli locali dove si beve un birra facendo due chiacchiere prima di tornare a casa e venditori ambulanti di patate dolci o takoyaki che urlano alla vecchia maniera la loro specialità. A volte Tōkyō ridiventa Edo.

Poi sali sulla Yamanote e sai che la prossima stazione ti precipiterà in una nuova epoca, nel rutilante mare di luci, e alzerai lo sguardo per scoprire cosa ci sarà domani, pensando al futuro, ma è il presente di un altro quartiere che vedi. La sera di Tōkyō ha ancora molte cose da raccontarti.

E i ciliegi sanno commuoverci, dalle parti di Tsukiji. 5 aprile 2013.

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