読む。Yomu/leggere. Leggendo “E poi” di Natsume Soseki.

   Era la stagione in cui le formiche entrano in casa. Daisuke riempì d’acqua una grande ciotola e vi dispose un mazzo di mughetti candidi con tutto il gambo. La massa dei fiorellini copriva i motivi scuri dei bordi, straripando a ogni movimento. Daisuke posò la ciotola su uno spesso dizionario, poi vi mise accanto uno zabuton e si sdraiò. La sua testa nera si trovava proprio all’ombra della ciotola e il profumo che emanava dai fiori gli riempiva le narici. Respirando quell’odore, cedette alla sonnolenza.

Giardino interno di una casa del periodo Meiji a Kurashiki. Agosto 1998.
Il giardino interno di una casa del periodo Meiji a Kurashiki. Visitata nell'agosto 1998.

   Gli succedeva a volte di ricevere dal mondo esterno stimoli straordinariamente offensivi. Nei casi peggiori, i raggi del sole che cadevano dal cielo sereno gli erano insopportabili. In tali giornate evitava, per quanto possibile, i contatti con la società e cercava di dormire, anche in tarda mattinata o nel pomeriggio. Per conciliare il sonno, usava dei fiori dal profumo discreto e dolce. Si distendeva, chiudeva gli occhi per proteggerli dalla luce del sole, e respirava piano dal naso, finché i fiori accanto alla sua testa a poco a poco portavano la sua coscienza agitata nel mondo dei sogni. Se l’espediente aveva successo, i suoi nervi ne uscivano rigenerati, e mantenere i contatti con la società diventava relativamente facile, almeno più di prima.

   Nei due o tre giorni che seguirono l’incontro con il padre, la vista delle rose rosse che fiorivano in un angolo del giardino lo feriva, facendogli ogni volta sentire delle punture negli occhi. Allora spostava lo sguardo sulle foglie dei gigli piantati accanto alla vasca per lavarsi le mani. Su ogni foglia serpeggiavano tre o quattro venature bianche. Aveva l’impressione che da una volta all’altra quelle foglie si allungassero, e le venature ne approfittassero per fare altrettanto. Quanto ai fiori dei melograni, gli parevano ancora più vistosi e opprimenti delle rose. Il loro colore era di una tale violenza che brillava come luce tra il verde del fogliame. Anche questo spettacolo per Daisuke, nel suo umore attuale, non era sopportabile.

   Il suo umore aveva assunto, come gli accadeva a volte, una tonalità cupa. Col risultato che, trovandosi di fronte a qualcosa di luminoso, non riusciva a sopportare il contrasto. Persino le foglie dei gigli finivano col dargli fastidio, se le osservava a lungo.

   Inoltre cominciava a essere oppresso dall’ansia che pervadeva il Giappone moderno. Si trattava di un fenomeno barbaro che nasceva dalla mancanza di fiducia fra le persone. Un fenomeno psicologico che gli procurava forti turbamenti. Non era il tipo d’uomo che ami confidare nella divinità. Nella sua condizione – quella di un individuo dotato d’intelligenza – non riusciva a farlo. Era inoltre convinto che se gli uomini avessero avuto fiducia gli uni negli altri, non ci sarebbe stato bisogno di alcun dio. Gli dei acquisivano il diritto di esistere solo al fine di liberare gli uomini dal dolore ingenerato dalla reciproca diffidenza. Ne conseguiva che nei paesi dove esistevano gli dei, la gente era bugiarda. Però aveva scoperto che il Giappone moderno non aveva più fede né nella divinità, né negli uomini. E attribuiva tutto ciò alla situazione economica.

 

Questo brano è tratto da E poi, nell’edizione Neri Pozza (Vicenza 2012), un romanzo splendido tradotto magnificamente da Antonietta Pastore.

Sōseki nel suo studio.

Più lo leggo e più lo amo, Natsume Sōseki (1867-1916).