Mukashi mukashi. Letture per farci compagnia. La locanda di Sōseki.

Kasamatsu Shiro (1898-1991), Bambù in estate, 1954.

Ieri sera ho provato strane sensazioni.

Sono arrivato alla locanda alle otto di sera e non solo non ho potuto notare come fosse la casa o il giardino, ma non distinguevo neppure l’est dall’ovest. Sono stato condotto attraverso una specie di sinuoso corridoio e infine fatto accomodare in una cameretta di sei tatami. Aveva un aspetto completamente diverso da quando mi ero fermato la volta precedente. Dopo aver cenato ed essere andato a immergermi nell’acqua termale, torno in camera e bevo il tè; intanto arriva la cameriera a domandarmi se può stendere il giaciglio.

Cosa strana, è sempre e solo questa cameriera a fare tutto, a ricevermi appena arrivato, a servirmi la cena, a guidarmi ai bagni, a preoccuparsi di stendermi il giaciglio. Eppure non parla quasi mai. Ma non è neanche una campagnola impacciata. Quando, cinta da un obi rosso annodato senza civetteria, con in mano un’antiquata torcia di carta, mi ha condotto nelle spire di un corridoio, simile a una scala tortuosa e quando, con lo stesso obi e la stessa torcia, giù per lo stesso corridoio, mi ha guidato fino alla vasca delle acque termali, mi è sembrato, pur essendo sempre io, di muovermi nella tela di un dipinto.

Al momento di servirmi la cena mi dice che devo aver pazienza e accontentarmi di quella camera, dove loro continuano ad abitare, perché negli ultimi tempi non ci sono stati clienti e le altre camere non sono in ordine. Mentre mi prepara il giaciglio, pronuncia una frase umana: “Dorma bene” ed esce; i suoi passi si allontanano sempre di più in fondo al tortuoso corridoio; c’è un angoscioso silenzio.

Solo una volta mi è capitata un’esperienza simile. Anni fa partendo da Tateyama avevo attraversato il Bōshu, e da Kazusa ero arrivato a Chōshi, camminando lungo la costa. Una sera mi fermai in un luogo. Non posso definirlo che “un luogo”. Ho dimenticato sia il nome della località sia quello della locanda. Non sono neppure sicuro di essermi fermato in una vera locanda. Era una casa alta e grande, abitata da due donne sole. Quando domandai loro se potevano ospitarmi la più anziana disse di sì e la giovane m’invitò a entrare e mi guidò; la seguii: dopo aver attraversato numerose ampie camere abbandonate, mi condusse in quella più interna, al piano superiore. Saliti tre gradini feci per entrare in camera dal corridoio quando un gruppo di alti bambù che si protendevano obliquamente sotto le tavole della terrazza, mossi dalla brezza della sera, mi accarezzarono la testa da dietro le spalle e io sobbalzai spaventato. Le tavole della veranda erano marce. “L’anno prossimo i germogli di bambù cresceranno fino ad aprirsi un passaggio nel pavimento della veranda e la camera sarà piena di bambù”, dissi; la giovane donna non rispose, sorrise e uscì.

Quella notte non potei dormire per il fruscio del bambù vicino al mio capezzale. Aprii gli shōji: il giardino era una distesa d’erba; una luminosa luna rischiarava la notte estiva, spostai lo sguardo e vidi che, proprio grazie alle siepi e al muro, il giardino sembrava continuare in una vasta collina erbosa. Subito al di là di essa si stendeva l’oceano, con immense onde fragorose che parevano minacciare il mondo umano. Non riuscii a chiudere occhio fino all’alba, rimasi pazientemente ad aspettare sotto la strana zanzariera, con l’impressione di trovarmi in un libro di racconti illustrati. Ho viaggiato molto dopo di allora ma non ho mai provato simili sensazioni prima di fermarmi nella locanda di Nakoi.

 

Natsume Sōseki

(1867-1916)

 

Traduzione di Lydia Origlia.

Da: Guanciale d’erba (Kusamakura, 1906), Vicenza, Neri Pozza, 2001.

 

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Livre de chevet per molti, Kusamakura fu definito dal geniale pianista Glenn Gould – che lo lesse nel 1982 alla radio nel corso di un’emissione della CBC – come metafora perfetta della condizione dell’artista. Al pari di alcuni capolavori della letteratura classica giapponese, Guanciale d’erba è un libro che va gustato come una prelibatezza, va centellinato, una pagina al giorno, per assaporare al meglio ciò che ha da rivelarci. Letto e riletto, ogni volta ci riserverà la sorpresa della sua grande bellezza.