Da Wakaba kage (All’ombra di tenere foglie). 15 aprile 1891.
Giorno quindici. È piovuto un po’. Oggi è il giorno in cui per la prima volta ho fatto visita al maestro Nakarai* che Nonomiya Kikuko si era impegnata a presentarmi qualche tempo prima. Poco dopo mezzogiorno sono uscita di casa. Egli abita nei pressi di Shiba, vicino al mare, in un luogo chiamato Minami Sakuma-cho. Qualche tempo fa ero giò andata in quella casa per un impegno con Tsuruta e quindi conoscevo bene la strada. Prendendo via Atagoshita e passando dietro ad una certa sala di spettacoli di varietà, la casa si trova in fondo sul lato sinistro. Passata attraverso la porta ho chiamato. Qualcuno mi ha risposto: è uscita la sorella minore del signor Nakarai.
“Da questa parte” ha detto e mi ha condotto, passando dal corridoio dí sinistra, nel salotto. Qui mi ha pregato di aspettare un po’ dal momento che suo fratello non era ancora rientrato.
Sapendo che egli, come giornalista del quotidiano Asahi Shinbun di Tōkyō, si occupa di romanzi e notizie di ogni tipo, immaginavo che fosse sempre molto occupato. Mentre i miei pensieri vagavano così, fuori si è sentito il rumore di un risciò che si fermava: era rientrato. Dopo essersi cambiato il vestito con uno di tutti i giorni, mi ha raggiunto. Le sue parole di saluto per questo primo incontro sono state assai cortesi. Io, invece, niente affatto abituata ad incontri di questo tipo, ho sentito per la vergogna le mie orecchie andare a fuoco e le labbra seccarsi e, senza riuscire ad articolare una parola, quello che sono riuscita a fare è stato soltanto ringraziare ripetutamente. Mi vergogno al solo pensiero di quanto devo essergli sembrata stupida.
Avrà circa trent’anni. Trovo estremamente sconveniente annotare appositamente l’aspetto fisico e i lineamenti del volto, ma voglio scrivere esattamente quello che ho pensato. Il suo volto, che aveva un ottimo colorito, e la sua espressione serena e leggermente sorridente erano tali che avrebbe conquistato anche un bambino di tre anni. La sua figura era così alta e armoniosa da attirare gli sguardi. Tra le altre cose, con tono pacato, ha cominciato a discorrere dei romanzi moderni, di come il suo ideale di romanzo non venisse bene accolto dalla gente e quindi non fosse apprezzato da nessuno.
“Il concetto di letteratura dei lettori giapponesi è infantile, quindi se si vuole scrivere un romanzo sul giornale che poi venga comprato dalla gente, bisogna scrivere le solite biografie di traditori e ribelli, oppure storie di prostitute e donne malvagie: per questo tra tutti i romanzi che sto scrivendo adesso, non ce n’è uno che scriva con soddisfazione. Perciò, per quanto i grandi studiosi mi critichino negativamente, non ci penso troppo; provo vergogna e non posso sostenere il loro sguardo ma non scrivo romanzi per mio diletto, bensì per nutrire la mia famiglia. Per amore dei miei, non mi curo delle critiche che ricevo. Se si presentasse I’occasione, se dovesse arrivare il tempo in cui potrò cominciare a scrivere tutto ciò che penso, senz’altro non riceverò più quelle critiche”. Così dicendo, ha fatto una grande risata ed io ho pensato che aveva proprio ragione.
Ha ricominciato a parlare:
“Ho saputo dettagliatamente dalla signorina Nonomiya quali sono i motivi che ti spingono a scrivere romanzi. Questo sarà un momento duro per te, ma di breve durata, perciò abbi pazienza. Io non ho quella capacità che fa di me un maestro, ma sono sempre disposto a dare un consiglio. Vieni pure quando vuoi”.
Ha parlato così, con tutto il cuore, ed io ne sono stata immensamente felice, tanto che non sono riuscita a trattenere le lacrime.
Mentre parlavamo di questo e quello, è venuta l’ora di cena e invitandomi a rimanere ha iniziato a preparare diversi cibi. Pensando che era il nostro primo incontro ho rifiutato, ma il maestro ha detto:
“Nella mia casa c’è un’usanza di campagnoli: senza fare distinzione tra amici vecchi e nuovi, non si servono leccornie ma, semplicemente si resta a cena. Perciò, se favorissi senza problemi ne sarei ancora più felice. Ti faccio compagnia anch’io”.
Me lo ha ripetuto così tante volte che non ho potuto più rifiutare ed ho accettato. Nel frattempo, pioveva sempre più fittamente e, a poco a poco, si era fatto buio. Ho deciso allora di congedarmi ed egli mi ha detto:
“Ho fatto preparare un risciò, sali pure e va’ a casa”. Giusto prima di uscire, gli ho lasciato soltanto una parte del manoscritto che avevo preparato da qualche tempo, e me ne sono andata prendendo in prestito quattro o cinque suoi romanzi.
Sono stata colpita dalla squisita gentilezza del maestro. Sono giunta a casa verso le otto.
Higuchi Ichiyō
(1872-1896)
Traduzione di Paola Cuppone.
Da: Paola Cuppone, Ritratto di Higuchi Ichiyō in Pagine dal Giappone Meiji, a cura di Teresa Ciapparoni La Rocca, Roma, Bulzoni, 2009, pp.41-43 e 57-58.
*Nakarai Tōsui (1861-1926) fu giornalista e scrittore di narrativa popolare di genere gesaku.
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Due pagine dai diari della scrittrice Higuchi Ichiyō, una delle voci più importanti della letteratura giapponese moderna, raccontano due momenti salienti nella vita della giovane intellettuale: gli incontri con colui che riteneva il suo mentore nel mondo delle lettere e che la seguì agli inizi della sua carriera. È Nakarai Tōsui, uno scrittore che sarebbe del tutto dimenticato se non fosse proprio per il ruolo che ebbe nella vita di Ichiyō. In questo brano Ichiyō racconta la prima visita a casa di Nakarai con accenti romanzeschi: è l’inizio di un dolce sentimento in cui innamoramento e ammirazione si confondono. Nel secondo brano, che vi proporrò domani, è narrato un altro incontro, quattro anni dopo, quando ormai la scrittrice si è guadagnata l’ammirazione del milieu letterario e il suo talento è riconosciuto pubblicamente. Buona lettura!