Natsu ya. Odio l’estate, amo l’estate.

 

Piccoli corsi d'acqua si rincorrono a Hida Furukawa. Estate 2002.

 

Mi infastidisce l’estate, con quel caldo appiccicoso che sale dai marciapiedi d’asfalto molle, le pubblicità di costumi e summer card  alla tv, le creme solari e la panoplia delle vacanze al mare:  scollature abissali e sudaticce,  zeppe trascinate, piedi nelle fontane e i gelati spiaccicati sui sanpietrini delle estati italiane.  Mi infastidisce l’estate, fra le imprecazioni dei pendolari schiacciati sul treno suburbano in cui, inesorabilmente, l’aria condizionata è fuori servizio, nelle bottigliette abbandonate sul corrimano di una stazione del metrò, nelle pance birrose esibite da trentenni senza alcuna speranza, nella boria urlata negli smartphone da mie coetanee dalle rughe abbronzate o paralizzate dal botulino in un sorriso senza tempo e senz’anima, nei tatuaggi sudati ed esotici privi di senso e di bellezza, nelle bevande gassate e zuccherose gocciolanti sulle panchine, nelle saracinesche tristemente abbassate in vie deserte e soleggiate, crudelmente soleggiate. Un abbaiare di cani in lontananza, il volume assordante di suoni che escono da un’auto che passa, voci nella notte e risate. E sbuffi di impazienza. E insonnia. E squillare di cellulari senza sosta, senza pietà.

Amo l’estate, il verde fresco dei boschi, le nuvole che si rispecchiano sulle risaie, sull’acqua da cui spuntano nuovi steli, nuove spighe. Gli uccelli acquatici si involano per tornare a posarsi, con eleganza. Le vetrate dei palazzi riflettono il cielo sotto la luce accecante. Nella mia città e altrove. Amo l’estate: il suono cristallino di un furin mosso da una leggera brezza – piccolo canto -, l’assordante saluto delle cicale, instancabili, sui tronchi di gigantesche criptomerie, presso templi venerabili, la luce che si frange penetrando nel fitto fogliame, le danze dei matsuri che ho visto e ricordo, fra sorrisi e risate. Amo l’estate, fra   insetti che volteggiano e isole di pini dalle spiagge deserte – tenugui e fazzoletti ad asciugare il viso, e gli occhi del Daibutsu spalancati nel buio, la notte di Obon.

Odio l’estate, amo l’estate. Non so, non so spiegare, ma le foglie verdissime e fresche, le carpe guizzanti negli stagni o in piccoli corsi d’acqua, le lattine che lacrimano rugiada e che appoggio alle guance  mi aspettano, mi accolgono.

Per me Giappone è l’estate.

 

Anche se da fantasma

me ne andrò da solo

sui prati d’estate.

 

Katsushika Hokusai

 Saigo no uta  (poesia di commiato), 1849.

Poco lontano dal castello di Shimabara, Kyūshū. Estate 2009.