Giappone d’estate

 
 

 

La nostra casa alla Doshisha Daigaku di Kyoto, estate 2010.
La nostra casa alla Doshisha Daigaku di Kyoto, estate 2009.

 

 

 

 

Il Giappone, per me, è l’estate.

 Inscindibile da quel grumo di sensazioni che tanti piccoli indizi provocano nel corpo e nell’animo, sì, indissolubilmente uniti, nel corso dei giorni e che resteranno per sempre legate alle mie estati in Giappone. 

 
Come un ricordo d’infanzia che credevi sepolto per sempre al fondo della memoria e un nulla basta a far riaffiorare alla tua coscienza.
Dolce pausa. Kataoka, 2009.
Dolce pausa. Kataoka,2009.

Le nostre estati giapponesi e i loro segni, quei loro indizi che non potremo mai dimenticare: il  calore umido e soffocante, il frinire assordante delle cicale, il tintinnio delle campanelle appese negli ingressi affinché la debole brezza che le muove induca un’illusione di freschezza, l’ombra delle stanze a tatami, il colore intenso del tè freddo nel bicchiere, le lanterne di carta nella notte di Obon, il grido alto dei corvi e il loro saltellare sfrontato sulle aiuole di un parco, i ventagli pubblicitari distribuiti agli angoli delle strade e tesaurizzati come regali preziosi, la sorpresa di un insospettabile refrigerio data da una lattina di tè freddo appena sputata da un distributore automatico e appoggiata con noncuranza alla fronte, alla nuca.  

 

  Il riverbero della luce del sole sulla superficie del mare al largo della costa di Nagasaki, le isole punteggianti l’orizzonte scrutate dalla collina di Onomichi, una chawan di matcha dalla delicata spuma verde preparata frettolosamente e presentata con curiosità dalla proprietaria di un negozietto di souvenir, all’ingresso del complesso templare del monte Hiei, i giacconi di lana blu dei marinai russi, abbottonati sino alla gola in una sera ventosa d’agosto nel porto nebbioso di Hakodate, le mani danzanti di splendide fanciulle all’Awa odori di Tokushima, gli occhi del Daibutsu visibili da lontano, nella notte di  Obon, a Nara, la pioggia battente di un tifone che ci sorprende fra i resti del castello di Hagi, la spoglia casa natale di Mori Ōgai, visitata con emozione sotto una pioggia battente a Tsuwano, le acque di uno stretto canale ribollenti di carpe a Furukawa, il takoyaki sotto una galleria commerciale di Kōbe, il pranzo conviviale e sorprendente fra volti amici, nel ristorante di sōmen nella pianura di Nara, la gita famigliare in auto sugli itinerari storici della penisola di Shimabara, e il mare splendente e punteggiato  di  isole-gioiello al di là del finestrino, una corsa in auto nella notte della baia di Tōkyō. E, ovunque, un matsuri sul nostro cammino.

 Ricordo il fresco sulla collina delle tombe dei giovani ultimi guerrieri ribelli  della Byakkotai, a Aizu Wakamatsu e, nel recinto deserto del Sengakuji, il sole pesante sulle nostre nuche mentre ci chinavamo davanti alle lapidi dei 47 vassalli fedeli di Akō, oh quanto studiati negli anni di ricerca per la tesi! Ancora. I nostri giorni nella casa di legno e carta, un prato e un pozzo davanti a noi la mattina, ancora stesi sui futon. Di notte, la pioggia batteva sul tetto, cullante. Era solo l’anno scorso. Ed era a Kyōto.

Pubblicità "rinfrescante" su un distributore automatico, 2009.
Pubblicità "rinfrescante" su un distributore automatico, 2009.

L’estate giapponese, le nostre estati!

Entrando nel padiglione del té. Imabari, agosto 2009.
Entrando nel padiglione del té. Imabari, agosto 2009.

Ricordo, sì, le fronde degli alberi sacri a farci ombra alla fine di una salita interminabile a Yamadera, nel Tōhoku, a Konpira-san nell’isola di Shikoku, e poi, nella foresta di Nikkō, e nel bosco sacro di Ise.

L’estate giapponese! i nostri ricordi si rincorrono, è la memoria del corpo, prima ancora che la coscienza, a rivivere quelle sensazioni.

Per noi due, sì, il Giappone è l’estate.

  

Nella notte di Osaka, a fine agosto.2009
Nella notte di Osaka, a fine agosto. 2009